Michel Fingesten nacque a Butzkowitz il 18 aprile 1884. Il padre era austriaco e la madre proveniva da una famiglia ebrea di Trieste. Nel 1935 venne in Italia a trovare i parenti della madre e per fuggire alle persecuzioni razziali, preferì restare in Italia. Fingesten frequenta per due anni l’Accademia di Vienna, dove ebbe come compagno un giovane Oskar Kokoschka. Vi si ferma solo due anni e nel 1902 si imbarca per l’America dove girovagherà per quattro anni, disegnando per periodici locali. Il giorno del suo 22esimo compleanno, il 18 aprile 1906 è a San Francisco colpita in quel momento dal grande terremoto e dal conseguente incendio.
Ma non è contento, e cerca nuove terre, così dopo 110 giorni di piroscafo arriva a Melbourne e prosegue per il Pacifico settentrionale. Nel 1907 sbarca a Palermo, risale la penisola italiana, passa da Trieste e arriva a Monaco nello studio di Franz von Struck, dal quale sarà avviato, come Paul Klee, alo studio della caricatura e alla grafica di piccolo formato. NEL 1914 sposa Bianca Schick da cui ebbe una figlia, Ruth e un figlio Peter.
Il 9 ottobre del 1940, mentre si trovava nuovamente in Italia, un dispaccio del Ministero dell’Interno mette fine alla sua libertà, e lo interna per il solo fatto di essere ebreo, prima nel campo di Civitella del Tronto e poi a Ferramonti di Tarsia, dove viene registrato con il nome di MICHELE FINKELSTEIN.
Ha lasciato un corpus immenso di opere grafiche, non ancora censite. E’ stato tra i più grandi artisti del genere Ex Libris. Alcuni dicono che abbia prodotto più di 2000 ex libris. Nel 1915 firma e data una lastra con l’indicazione “Opus 15”, e nel 1938 sul un’altra vi è l’indicazione “Opus 1000”. Muore l’8 ottobre del 1943, dopo la liberazione del campo da parte degli alleati, per una infezione contratta a seguito di un’operazione chirurgica.
Apertura pacco contenente il quadro di Fingesten, donazione di Riccardo Ehrmann
Esposizione al pubblico del quadro Calabrische elegie di Fingesten, donato al Museo dall’ex internato Riccardo Ehrmann. La prof.ssa Ciliberti racconta l’opera